Esporazioni risolutive

Ho letto la notizia relativa all’arresto di una maestra (qui l’articolo) che maltratava i bambini a causa di motivi futili, come il mancato riordino di giochi o il non aver finito il pranzo.

Lungi da me il voler giudicare e stigmatizzare la maestra, ne voglio istruire un processo su questo blog. Vorrei provare a pensare assieme a voi quali cause possiamo provare a prevenire curando gli aspetti di qualità interni ai nostri luoghi di lavoro, anche energicamente come esprime Christian in quest’articolo.

Ma vi chiedo di porre davanti la parola “Risolvere”, non fermiamoci alle lamentele, ma risolviamo e cerchiamo strade. Credo che un educatore debba essere un esploratore coraggioso di fronte alle difficoltà.

Se la maestra fosse stata più seguita in Equipe, con formazioni “ad hoc” e qualche incentivo motivante, saremmo giunti a questo punto? Come si possono trovare spazi e luoghi di questo genere per noi Formatori ed Educatori?

Pietro Resteghini.

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Filosofo della scienza. Coach e ALF navigante
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5 risposte a Esporazioni risolutive

  1. Cristina Tarallo ha detto:

    Io lavoro con i bambini e capita che la mia pazienza giunga al limite..e, a volte, è davvero difficile non superarlo. Difficile, ma non impossibile! Quindi è indubbio che la maestra abbia sbagliato; forse, se seguita correttamente, questo non sarebbe successo..o forse si! E’ certamente utile lavorare in una buona equipe, poter contare su un momento di supervisione con un esperto durante il quale fermarsi e fare il punto della situazione ma tutto ciò non serve a nulla se il primo passo non lo fa l’educatore in prima persona: prima di tutto bisogna chiedersi se è questo il lavoro giusto; appurato che lo sia, bisogna lavorare affinchè non si superi il limite chiedendosi se e perchè si è così irascibili ed eventualmente chiedere aiuto..ma PRIMA di maltrattare il bambino e non chiedendo scusa tra le lacrime dopo..fa parte dell’essere professionisti! almeno io la vedo così..
    Cristina, educatrice in comunità minori.

  2. biviopedagogico ha detto:

    grazie pietro, per il link e per la voglia di discutere soprattutto.
    Credo che sia necessario però dividere le cose, da una parte ciò che è possibile fare per formare, aiutare, accompagnare, selezionare e motivare gli educatori, dall’altra la strana sensazione che ci prende quando ci domandiamo cosa avemmo (o avrebbero) potuto fare per evitare che ciò che è avvenuto in quell’asilo.
    Spesso ciò che vorremmo è che tutto fosse prevedibile, anticipabile (in stile minority report), e soprattutto evitabile. Questa sensazione, sicuramente giustificata, spesso ci porta a cercare risposte , responsabilità dove magari responsabilità non ci sono. Ci trascina dentro un senso di impotenza doloroso.
    Io credo che non tutto sia evitabile, che non tutto sia prevedibile soprattutto quando parliamo di persone. Non tutto è prevedibile con i bimbi, con le persone in stato di dipendenza con le persone con disabilità. Non tutto è prevedibile con gli adolescenti, con gli adulti e con gli anziani. Non tutto è prevedibile anche quando si parla di educatori, insomma.

    Quello che però mi interessa, invece (e mi pare interessi anche a te) è capire cosa possiamo fare noi, per intervenire prima, mentre e dopo ciò che accade nei nostri servizi.
    Sul prima è chiaro che viene una domanda: L’educatrice in questione lavora da tanti anni ( mi pare che si parli di 52 anni di età), quanti hanno visto prima e non hanno fatto nulla?Perchè? Cosa ci blocca dal denunciare un collega, un educatore o un coordinatore quando ciò che vediamo è sicuramente “oltre”?
    Sul mentre mi chiedo se fossero necessarie le telecamere, soprattutto perchè per poter avere le prove abbiamo sottoposto ancora i bambini a momenti di violenza.
    Sul dopo, la domanda è ancora più interessante, perchè la sfida è quella di capire cosa c’è ne possiamo fare noi (come educatori) di queste storie.

    Quello che penso, fuori dalla ricerca del “cattivo”, è che nel nostro lavoro spesso ci capita di provare sensazioni ed emozioni che rischiano di condurci verso tipologie di risposte aggressive e di dominio. Quello che dobbiamo imparare (anche come genitori) ed insegnare è che è necessario trovare il coraggio di parlarne, di capire cosa succede e di capire come affrontare le emozioni che proviamo.

    Quello che penso è che “stare” dentro le fatiche degli altri sia difficile, complesso e soprattutto molto pericoloso se fatto con approssimazione e mancanza di luoghi professionalizzanti.
    Ciò che credo, infine, è che gli educatori spesso siano soli e che ciò produca due effetti estremamente rischiosi come la mancanza di controllo e la de-responsabilizzazione.

    In questa storia, mi piacerebbe, insomma , andare “oltre” il mostro sbattuto in prima pagina.

    • pietrosimone ha detto:

      Sposo la tua linea di pensiero volentieri! Il mio intento era proprio quello di scatenare reazioni di questo genere ed è vero, siamo soli, in difficoltà e abbiamo uno dei lavori più difficili, nonostante il pensiero comune lo legga come un gioco e nulla più. Grazie Christian per il tuo commento, per poter pensare assieme soluzioni…

  3. biviopedagogico ha detto:

    …figurati.
    l’immagine dell’ “eduricercatore” mi piace molto…

  4. biviopedagogico ha detto:

    Chi pensa che sia un gioco dovrebbe farsi un paio di settimane di turni in una delle comunità per minori sparse sul territorio….probabilmente basterebbe.
    Un caro saluto…

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